Cambiamenti climatici e valore dei terreni agricoli nell’arco alpino

Martina Bozzola, ETH Zurich, Agricultural Economics and Policy (AECP) Group

Chiara Ravetti, University of Oxford, Department of Economics and OxCarre

Recenti studi agronomici sull’impatto dei cambiamenti climatici sul settore agricolo in Europa concludono che, in genere, il cambiamento del clima potrebbe avere un impatto positivo nel nord Europa, mentre gli effetti negativi prevarrebbero al sud. Alcuni studi basati sulla metodologia Ricardiana proposta da Mendelsohn et al., (1994) analizzano la relazione di lungo periodo tra il clima e il valore dei terreni agricoli (o i ricavi netti). Il concetto, inizialmente sviluppato da David Ricardo, postula che i valori fondiari dovrebbero riflettere la produttività attesa in agricoltura. Questa metodologia permette di stimare, attraverso regressioni econometriche, se la variazione nel valore dei terreni tra diverse aziende agricole / aree geografiche può essere attribuita al clima. Le stime tengono in considerazione altre variabili esogene, per esempio socio-economiche come la crescita della popolazione, mentre considerano implicitamente l’adattamento dagli agricoltori ai cambiamenti climatici.

Un modello Ricardiano applicato a dati europei (Van Passel et al., 2016) rivela che le aziende agricole del continente saranno esposte ad una perdita di valore fondiario dovuta ai cambiamenti climatici che varia tra l’8% ed il 44% entro il 2100 [1]. Due terzi delle perdite del valore dei terreni agricoli in Europa entro il 2100 potrebbero essere a Sud delle Alpi, con la più alta percentuale di terreno agricolo vulnerabile concentrato in Italia. Altri studi, come Bozzola et al. (2017) Bozzola e Ravetti (2017) e Lang (2007) discutono rispettivamente la rilevanza dell’Italia e della Germania come casi studio, data l’elevata eterogeneità del clima, del suolo, delle variabili topografiche e socio-economiche di questi Paesi.[2] Queste analisi confrontano gli effetti climatici in diverse regioni, offrendo risultati specifici riguardanti le zone alpine e pedemontane. Infine a livello sub-regionale, uno studio di De Salvo et al., (2013) analizza gli effetti climatici su colture permanenti in una singola regione Alpina, il Trentino.

Impatti marginali dei cambiamenti climatici

I risultati di Bozzola et al., (2017) rivelano chiare differenze stagionali negli impatti nell’Italia settentrionale. Per quanto riguarda la temperatura, un aumento di +1Cº nei mesi estivi riduce il valore dei terreni di quasi l’80% ceteris paribus. Tuttavia, un aumento delle temperature medie in primavera ed in autunno aumenta il valore dei terreni di circa il 40% e il 50% rispettivamente. Un aumento delle precipitazioni, (+1 cm/mese) ha un impatto negativo in inverno ma positivo in estate, che a livello annuo aggregato si tradurrebbe in una perdita di valore dei terreni agricoli maggiore del 10%.

Le Figure 1 e 2 mostrano gli impatti di variazioni marginali delle temperature e delle precipitazioni sul valore dei terreni agricoli. Le aree più fredde negli ultimi 30 anni sarebbero quelle più colpite da un aumento delle temperature invernali, probabilmente perché specializzate in colture che richiedono inverni rigidi. Le aree Alpine ed Appenniniche risulterebbero le più vulnerabili ad un incremento delle temperature in estate. Queste stesse aree, tuttavia, beneficerebbero maggiormente di primavere e autunni più miti, garantendo, per molte produzioni, una stagione agricola più lunga.

Primavere più piovose avrebbero impatti negativi sull’arco alpino, già caratterizzato da precipitazioni medie più elevate del resto d’Italia, ma positivi nel resto della Penisola. Estati più piovose beneficerebbero tutto il territorio, tranne le aree alpine più elevate.

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Ogni risultato è determinato dalle condizioni climatiche iniziali e dalle caratteristiche specifiche delle aziende considerate. Lo studio di De Salvo et al., (2013), per esempio, si concentra esclusivamente sui dati di aziende agricole irrigate e specializzate in colture di mele e viti in Trentino. I risultati sono relativamente ottimisti: identificano una perdita fra l’1% e il 6% del profitto considerando uno scenario climatico moderato (+1.4°C di temperatura e -6% di precipitazioni) dal 2021 al 2050. Questo effetto corrisponde ad una perdita di ricavi netti annui fra i 78 e i 750 euro per ettaro.

Impatti di lungo periodo

I risultati di lungo periodo ottenuti nei vari studi variano a seconda del modello climatico usato e delle emissioni future di gas serra. In genere, traiettorie di maggiori emissioni corrispondono ad impatti maggiormente negativi. Vari modelli stimano perdite significative nel valore dei terreni per l’arco alpino. Per esempio, lo studio condotto da Vanschoenwinkel et al. (2016) confronta Europa orientale ed occidentale, ed identifica una discontinuità netta a livello dell’arco alpino. Immediatamente a nord delle Alpi gli effetti sono principalmente positivi, mentre a Sud l’effetto del cambiamento climatico previsto da diverse simulazioni è negativo. All’interno del territorio italiano, inoltre, le regioni occidentali sarebbero colpite più negativamente rispetto a quelle orientali. Similmente, Lang (2007) conclude che, mentre in generale il settore agricolo in Germania beneficerebbe del riscaldamento globale, proprio le regioni più a sud, vicino alle Alpi, costituirebbero un’eccezione e non trarrebbero alcun beneficio, o sarebbero colpite negativamente, da temperature più elevate.

Conclusioni

Per valutare l’effetto del cambiamento climatico sul settore agricolo, è necessario considerare la varietà territoriale e geografica che caratterizza le aree di studio, particolarmente in zone eterogenee come quelle montane. A questo proposito, possono essere utilizzati diversi approcci: esaminare specifiche micro-regioni, come in De Salvo et al. (2013); oppure in aree geografiche più ampie utilizzare un modello climatico in cui i parametri di regioni diverse possono differire nella stima dei risultati, come nel caso di Vanschoenwinkel et al. (2016), oppure utilizzare dati molto disaggregati sia a livello di aziende agricole che climatici, come nello studio di Bozzola et al., (2017). Questa opzione è però spesso resa impossibile dalla mancanza di tali dati.

Maggiori emissioni di gas serra potrebbero non solo causare impatti negativi più elevati, ma anche aumentare l’incertezza legata a tali impatti (Bozzola et al. 2017), soprattutto in territori eterogenei come le zone montane, di cui è ricca anche la Svizzera.

 

Bibliografia

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Bozzola M. e C. Ravetti (2017). Gli impatti dei cambiamenti climatici sul valore dei terreni agricoli in Italia: modelli Ricardiani a confronto. Agriregionieuropa 49: 68-73.

De Salvo, M., Raffaelli R. and Moser R. (2013). The impact of climate change on permanent crops in an Alpine region: A Ricardian analysis. Agricultural Systems 118: 23-32.

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Vanschoenwinkel, J., R. Mendelsohn, and Van Passel, S., (2016). Do Western and Eastern Europe have the same agricultural climate response? Taking adaptive capacity into account. Global Environmental Change 41: 74-87.

Van Passel, S., Massetti, E. and Mendelsohn, R. (2016). A Ricardian Analysis of the Impact of Climate Change on European Agriculture. Environmental and Resource Economics, forthcoming.

[1] Eckertsen et al., 2001; Palosuo et al., 2011; Olesen et al., 2011; Rötter et al., 2011a, 2011b, 2012

[2] Bozzola e Ravetti (2017) confrontano, in un articolo sulla rivista Italiana AgriRegioniEuropa, modelli Ricardiani che analizzano gli impatti dei cambiamenti climatici sul valore dei terreni agricoli in Italia.

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About Robert Finger

I am Agricultural Economist and head of the Agricultural Economics and Policy Group at ETH Zurich. Group Website: www.aecp.ethz.ch. Private Website: https://sites.google.com/view/fingerrobert/home